L’avvicinarsi del Natale si riconosce per due inequivocabili segni: la comparsa di precocissime luminarie nei centri commerciali e l’inizio dei saggi natalizi nelle scuole. Questi ultimi eventi, gioiosi e sempre molto sentiti dalle famiglie e dalle comunità, presentano nel contempo aspetti interessanti anche dal punto di vista del diritto. Infatti negli anni si è ampiamente dibattuto sulle tematiche di tali rappresentazioni, nonché sul problema legato all’esposizione di presepi o altra simbologia cristiana , connessa alla festa del Natale, in relazione al concetto di libertà di culto e di non discriminazione, soprattutto a causa della maggior presenza di alunni stranieri e di fede non cattolica.
L’affermarsi del pluralismo religioso pone, del resto, quotidianamente le istituzioni dinanzi a casi che riguardano la concretezza della vita personale e familiare dei cittadini in cui è necessario bilanciare più interessi e più diritti protetti e tutelati dalla legge.
Giova ricordare, innanzitutto che la libertà religiosa in Italia è garantita dalla legge fondamentale dello Stato, la Costituzione. Gli articoli della Costituzione che si occupano direttamente della libertà religiosa sono 7 gli articoli 3, 7, 8, 19, 20. Le disposizioni in essi contenute sanciscono: il principio di non discriminazione su base religiosa (articolo 3), l’uguaglianza di tutte le confessioni di fronte alla legge (articolo 8), la libertà di professare il proprio credo, sia individualmente che collettivamente, di promuoverne la diffusione e di celebrarne il culto in pubblico o in privato a meno che i riti non siano contrari al buon costume (articolo 19), ed infine la proibizione di ogni forma di discriminazione o l’imposizione di speciali oneri fiscali nei confronti di associazioni o istituzioni religiose basate sull’appartenenza confessionale (articolo 20).
Accanto a tali norme interne, sono previste altrettante leggi di matrice comunitaria che influenzano la realtà italiana in tema di libertà di culto. Ad esempio, particolarmente significativa è la direttiva 2000/78/CE (decreto legislativo n. 216 del 2003) sulla parità di trattamento per le varie istituzioni religiose e divieto di discriminazione connesso all’esercizio del proprio culto. Nella direttiva per principio di parità di trattamento si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta (ossia quando per motivi religiosi una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga) o indiretta (ossia quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professano una religione o si ispirano ad una ideologia, in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone).
Alla luce di tale quadro normativo viene spontaneo chiedersi se una rappresentazione scolastica avente come tema la Natività, e quindi un concetto strettamente cristiano, possa essere considerato discriminatorio in quanto favorirebbe un dato culto piuttosto che un altro o evidenzierebbe una propensione per la cultura e il sentimento religioso cristiano non rispettando la fede di coloro che professano altra religione.
Per ovviare a ciò, la scuola italiana, che da anni è ormai orientata alla più ampia laicità, sta cercando di proporre nei programmi scolastici quanto in attività come quella delle recite natalizie tematiche che siano comuni ad ogni fede, quali i principi di amore, fratellanza e pace, facendo riferimento alla festività del Natale in maniera non confessionale, ai fini di evitare discriminazioni tra culti. Tuttavia, anche tale strategia ha incontrato numerose polemiche, in quanto anche tale impostazione può apparire sfavorevole nei confronti di chi professa la fede cristiana e pertanto ritiene che il Natale sia una festività legata indissolubilmente alla propria cultura religiosa e alle proprie tradizioni.
Importante è perciò chiarire che la normativa italiana in materia di libertà di culto, soprattutto in relazione all’ambiente scolastico, come nel caso del dibattuto tema dell’ora di religione, ha precisato che fondamentale sia l’elemento della scelta e della facoltatività. Ovvero deve essere accordato ad ogni alunno la libertà di poter esonerarsi dalla partecipazione ad attività, quali anche le recite scolastiche, se il contenuto delle stesse appaia lontano e discordante con le proprie idee e il proprio culto. In buona sostanza, deve sempre essere garantita la possibilità di non prendere parte all’eventuale attività con carattere religioso autorizzata ed organizzata dall’istituto, garantendo a coloro che esercitano la propria libertà religiosa di non aderire all’iniziativa e di rimanere nelle aule scolastiche, magari facendo regolarmente lezione ,se l’evento viene proposto in orario curriculare.
In ogni caso, bisogna considerare che il nostro ordinamento, anche alla luce degli orientamenti giurisprudenziali ha chiarito che la laicità italiana, è, e deve essere, una laicità inclusiva, che eventualmente possa aggiungere segni (religiosi) o possa venire incontro alle tradizioni di altri popoli senza però escludere del tutto la propria matrice culturale. Sul punto appaiono fondamentali due sentenze storiche della Corte costituzionale che già negli anni 90 hanno chiarito il valore della laicità, ed insieme il suo vero significato (sentenza n. 203 dell’11-12 aprile 1989 e sentenza n. 13 dell’11-14 gennaio 1991).
In base a tale interpretazione sarebbe perciò opportuno concludere che la scuola laica non solo debba rispettare l’espressione del sentimento, della tradizione e della fede religiosa dei propri alunni e delle proprie famiglie in occasione del Natale, ma debba nel contempo unirla a un eventuale spiegazione, integrazione nella vita scolastica di concetti e di festeggiamenti legati anche ad altre festività non cattoliche, come, ad esempio la fine del Ramadàn, se vi fossero scolasti o studenti che celebrano tale festività musulmana o altre celebrazioni di fede acattolica.